Questa storia è vera e risale a 4 anni fa.
Un giorno arrivò da me un signore stempiato, elegante nel portamento, di poco più grande di me.
Credo all’ epoca avesse tra i 55 e i 60 anni.
Aveva un vecchio camper Laika e voleva una modifica strutturale importante nella zona wc.
Mi disse che nel camper ci viveva e che quindi avrebbe dovuto attendere in officina il completamento del lavoro.
Ci mettemmo d’ accordo e fissammo un appuntamento.
Il giorno stabilito, puntualmente, lo trovai ad attendermi al cancello e cominciai il lavoro con il cliente che aspettava fuori dal camper, seduto su una sedia.
Durante le ore che seguirono , mentre lavoravo, cominciammo a parlare di mille cose diverse, come spesso capita quando non ci si conosce.
Mi colpì la sua profonda malinconia, la sua grande educazione, l’ intelligenza e la cultura, mai ostentata, mai usata in modo eccessivo.
Mi colpì soprattutto il profondo rispetto dei tempi della conversazione, mai si sovrappose ad una mia frase.
Aspettava che avessi concluso per ribattere.
Aveva accento del nord e mi parlò anche delle sue origini, ma non le ricordo con esattezza, solo, mi sembra che la sua vita si fosse svolta tra Milano, la Lombardia e il Canton Ticino.
Mi raccontò di essere un fotografo pubblicitario.
E poi mi disse di tanti altri lavori che aveva fatto, tutti di alto livello.
Non sapevo davvero se credergli.
Il racconto della sua vita precedente strideva con il suo stato del momento, di persona che viveva in un camper datato e piuttosto piccolo.
Conclusi il lavoro, ma mancavano alcuni particolari che avrei dovuto montare solo dopo che i collanti usati si fossero asciutti completamente.
Lo salutai, quindi, fissando un nuovo appuntamento da li a una settimana per rifinire il lavoro.
Quando tornò, continuai la conversazione interrotta chiedendogli perchè si trovasse qui, in Toscana.
Lui mi spiegò che aveva una compagna Fiorentina, l’ amore della sua vita e che lei si era ammalata e poi era morta, ormai da un anno.
Lui stesso era malato e la sua scelta di vivere in camper era stata motivata dalla necessità di spostarsi quasi quotidianamente per le cure a Careggi.
Non so se fosse davvero quella la verità, ma era plausibile.
Conclusi il lavoro e mi misi seduto accanto a lui.
Lui si alzò e andò in camper e tornò con qualcosa in mano.
Erano fotografie in bianco e nero, ritratti di una bella donna, eseguiti impeccabilmente; c’era una foto della stessa serie, in cui la modella era abbracciata al suo fotografo, che era il mio cliente.
Insieme alle foto c’erano riviste di fotografia di circa dieci anni prima, Italiane e Svizzere, che contenevano portfolio realizzati da lui.
In un articolo c’ era anche la sua foto, riconoscibile anche se scattata quando era più giovane.
Da ultimo dopo aver parlato di musica, rientrò nel camper, per uscirne poi con una chitarra classica, una Eko, piuttosto economica.
La cominciò a suonare , con grande sapienza e davanti a quella scena capiì davvero chi era
quella persona. Un ragazzo, come me, fuori dal suo tempo.
Finito di suonare, mi regalò la chitarra, io protestai, dicendo che ne avevo già tre e che questa avrebbe fatto il suo servizio migliore rimanendo con lui.
“A me non serve più”.
Mi resi conto che lo avevo capito, che tutto in quella persona mi parlava di una fine imminente, di una rassegnazione totale e del bisogno di lasciare un segno della sua presenza, anche solo un graffio su di un muro.
Persino la modifica richiesta al camper era stata decisa per un futuro prossimo in cui le difficoltà di movimento sarebbero state serie.
Lo ringraziai per il regalo, gli dissi che la conversazione era stata molto piacevole e che mi avrebbe fatto piacere continuarla, magari con più calma, mangiando un boccone insieme.
Lui poco convinto mi disse che sarebbe stato piacevole e che lo avremmo fatto, prima o poi.
Gli feci i complimenti per le foto e ci salutammo.
Non l’ ho più visto, ne sentito.
Ho pensato spesso a questa persona elegante e malinconica.
Mi è rimasta la voglia di sapere di più della sua vita e come spesso mi accade, ho sentito a posteriori l’ esigenza di fotografarlo, di cercare di riportare in uno scatto l’ essenza che di lui avevo percepito.
Ho parlato spesso di questo cliente a mia moglie, forse per cercare di capirlo meglio.
Ho un dono: a furia di stare al pubblico riesco a capire abbastanza facilmente quali persone sono affini, per sensibilità, intelligenza o passioni, al mio sentire.
Il mio cliente era una di quelle persone.
Poche ore a volte hanno un peso importante nella memoria.
Ogni persona ha qualcosa da dare, alcuni riescono a farlo in pochi minuti.
Altri nemmeno in una vita, trasmettono l’essenza della loro esistenza.
Per questo tengo gli occhi e le orecchie aperte.
Fabio Cappellini 2020
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